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Corte di Giustizia UE: Caso C‑174/15 sul prestito di ebook da parte delle biblioteche pubbliche

  • 1) L’articolo 1, paragrafo 1, l’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), e l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2006/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, concernente il diritto di noleggio, il diritto di prestito e taluni diritti connessi al diritto di autore in materia di proprietà intellettuale, devono essere interpretati nel senso che nella nozione di «prestito», ai sensi di tali disposizioni, rientra il prestito della copia di un libro in formato digitale, laddove tale prestito sia realizzato caricando tale copia sul server di una biblioteca pubblica e consentendo ad un utente di riprodurre detta copia scaricandola sul proprio computer, fermo restando che durante il periodo di prestito può essere scaricata una sola copia e che, alla scadenza di tale periodo, la copia scaricata da detto utente non può più essere dal medesimo utilizzata.

  • 2) Il diritto dell’Unione, e in particolare l’articolo 6 della direttiva 2006/115, deve essere interpretato nel senso che non osta a che uno Stato membro subordini l’applicazione dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2006/115 alla condizione che la copia di un libro in formato digitale messa a disposizione dalla biblioteca pubblica sia stata diffusa con una prima vendita o un primo altro trasferimento di proprietà di tale copia nell’Unione europea da parte del titolare del diritto di distribuzione al pubblico o con il suo consenso, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione.

  • 3) L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2006/115 deve essere interpretato nel senso che osta a che la deroga per il prestito pubblico ivi prevista si applichi alla messa a disposizione da parte di una biblioteca pubblica di una copia di un libro in formato digitale qualora detta copia sia stata ottenuta a partire da una fonte illegale.

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Copyright Trolls Threaten College Students With Million-Dollar Lawsuits, Deportation | The Digital Reader

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Future of Copyright: Music piracy almost eliminated in Norway

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La notice and take down “pubblicistica” del regolamento dell’AGCOM: come cambiano le tutele dei diritti d’autore in internet – Archivio Ceradi – LUISS Guido Carli

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Future of Copyright: Adobe’s Digital Edition ebook software uses privacy-sensitive data to combat piracy

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UK Adopts Private Copying Exception | Intellectual Property Watch

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The Punjab Police to be Sued for Producing a Pirated CD in Court | Spicy IP

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Corte di Giustizia UE: Pirateria, Copia Privata e Equo Compenso

Nella sentenza del 10 aprile 2014 (Causa C‑435/12; «ACI Adam») la Corte di Giustizia UE ha chiarito che la Direttiva europea sulla protezione del diritto d’autore non consente ai legislatori nazionali di equiparare «copia privata» e «copia pirata» quando si tratta di stabilire eccezioni al diritto esclusivo di riproduzione spettante agli autori. Gli Stati dell’Unione possono prevedere che i privati lecitamente riproducano per uso privato e senza autorizzazione dell’autore un’opera protetta (cd. copia privata), ma questa eccezione al diritto esclusivo d’autore non si può estendere alla riproduzione di opere ottenute illegalmente. In altri termini, l’eccezione per copia privata non vale quando serve a riprodurre copie dell’opera ottenute dal privato in modo illegale.

Questa però è solo la premessa di un’altra rilevante decisione presa dalla Corte.

Come noto, se gli Stati introducono l’eccezione al diritto esclusivo d’autore per consentire la «copia privata» devono anche stabilire  un «equo compenso» a favore degli autori. Questo avviene nel diritto europeo imponendo a carico dei venditori di supporti materiali «vergini» (ad es., cd rom) un prelievo forfetario, da redistribuire agli autori a titolo di indennizzo per le copie private che i supporti vergini potranno ospitare. Quindi, ai fini del finanziamento dell’equo compenso, il prelievo non grava direttamente sui soggetti privati interessati, bensì su coloro che possono «trasferire» ai privati, sotto forma di maggior prezzo al dettaglio del supporto, l’importo di tale prelievo «incombendo così in definitiva l’onere di detto prelievo sull’utente privato che paga tale prezzo».

Nel caso sottoposto alla Corte di Giustizia, un Giudice olandese ha chiesto fosse precisato se il diritto dell’Unione consenta che la misura forfetaria dell’«equo compenso» stabilita dagli Stati membri sia determinata tenendo conto del fatto che i supporti vergini consentono anche la riproduzione di copie illegalmente ottenute. In altri termini, poiché la legge olandese consente che l’equo compenso sia stabilito in misura maggiore in quanto non solo serve a coprire la riproduzione lecita per copia privata, ma anche le riproduzioni private illecite, il Giudice nazionale ha chiesto alla Corte di stabilire se questa «maggiorazione» dell’equo compenso sia o meno compatibile con il diritto dell’Unione.

La Corte di Giustizia ha deciso che la maggiorazione non è consentita, perché penalizza i privati che non sono «pirati», ponendo a loro carico anche il costo delle «copie pirata».

Più precisamente, ecco la risposta della Corte:

«53      (…) il sistema di prelievi istituito dallo Stato membro interessato deve mantenere un giusto equilibrio tra i diritti e gli interessi degli autori, beneficiari dell’equo compenso, da un lato, e quelli degli utenti dei materiali protetti, dall’altro.

54     Orbene, un sistema di prelievo per copia privata, come quello di cui al procedimento principale, che non fa distinzione, per quanto attiene al calcolo dell’equo compenso dovuto ai suoi beneficiari, tra la situazione in cui la fonte a partire dalla quale una riproduzione per uso privato è realizzata sia legale e quella in cui tale fonte sia illegale, non rispetta il giusto equilibrio di cui al punto precedente.

55      In un siffatto sistema, il pregiudizio causato, e quindi l’importo dell’equo compenso dovuto ai beneficiari, è infatti calcolato in base al criterio del pregiudizio causato agli autori tanto da riproduzioni per uso privato realizzate a partire da una fonte legale, quanto da riproduzioni realizzate a partire da una fonte illegale. L’importo così calcolato si ripercuote quindi, in definitiva, sul prezzo che gli utenti di materiali protetti pagano nel momento in cui vengono loro messi a disposizione apparecchiature, dispositivi e supporti di riproduzione che consentono la realizzazione di copie private.

56      In tal senso, ogni utente che acquisti siffatti apparecchiature, dispositivi e supporti di riproduzione è indirettamente penalizzato, dato che, sostenendo l’onere del prelievo stabilito a prescindere dal carattere legale o illegale della fonte a partire dalla quale siffatte riproduzioni vengono realizzate, contribuisce necessariamente al compenso per il pregiudizio causato da riproduzioni per uso privato realizzate a partire da una fonte illegale, non autorizzate dalla direttiva 2001/29, ed è pertanto indotto a farsi carico di un costo supplementare non trascurabile per poter realizzare le copie private che rientrano nell’eccezione [per copia privata] prevista dall’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva medesima.

57      Orbene, non si può ritenere che una siffatta situazione soddisfi il requisito di un giusto equilibrio da trovare tra, da un lato, i diritti e gli interessi dei beneficiari dell’equo compenso e, dall’altro, quelli dei suddetti utenti.

58      Alla luce delle suesposte considerazioni occorre rispondere alle prime due questioni dichiarando che il diritto dell’Unione, in particolare l’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29, in combinato disposto con il paragrafo 5 di tale articolo, debba essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che non fa distinzione tra la situazione in cui la fonte a partire dalla quale una riproduzione per uso privato è realizzata è legale e la situazione in cui tale fonte è illegale».

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Misure Tecnologiche di Protezione – Corte di Giustizia UE – Caso «Nintendo»

  • “«1. I titolari di diritti d’autore e di diritti connessi nonché del diritto di cui all’art. 102-bis, comma 3, [relativo alle banche dati] possono apporre sulle opere o sui materiali protetti misure tecnologiche di protezione efficaci che comprendono tutte le tecnologie, i dispositivi o i componenti che, nel normale corso del loro funzionamento, sono destinati a impedire o limitare atti non autorizzati dai titolari dei diritti. 2. Le misure tecnologiche di protezione sono considerate efficaci nel caso in cui l’uso dell’opera o del materiale protetto sia controllato dai titolari tramite l’applicazione di un dispositivo di accesso o di un procedimento di protezione, quale la cifratura, la distorsione o qualsiasi altra trasformazione dell’opera o del materiale protetto, ovvero sia limitato mediante un meccanismo di controllo delle copie che realizzi l’obiettivo di protezione.

  • 2.      Le misure tecnologiche di protezione sono considerate efficaci nel caso in cui l’uso dell’opera o del materiale protetto sia controllato dai titolari tramite l’applicazione di un dispositivo di accesso o di un procedimento di protezione, quale la cifratura, la distorsione o qualsiasi altra trasformazione dell’opera o del materiale protetto, ovvero sia limitato mediante un meccanismo di controllo delle copie che realizzi l’obiettivo di protezione».
  • Il caso di specie riguardava un «software» indipendente, che non costituiva una copia illegale dei videogiochi della Nintendo, ma che consentiva la fruizione sulle consolle di file MP3, film e video non prodotti né distribuiti dalla Nintendo, al fine di sfruttare pienamente tali consolle.
    La Corte, dopo avere fatto appello al principio di proporzionalità (in forza del quale la tutela giuridica garantita alla misure teconologica di protezione non deve impedire i dispositivi o le attività che hanno, sul piano commerciale, una finalità o un’utilizzazione diversa, dal facilitare la realizzazione di tali atti mediante l’elusione della protezione tecnologica)  conclude non escludendo la liceità di strumenti elusivi della protezione tecnologica, e chiedendo ai giudici nazionali di effettuare un non facile bilanciamento, anche basato su rilevazioni concrete circa l’uso che gli utenti fanno dei dispositivi elusivi in questione (se – in sostanza, pare di capire – sono nella pratica soprattutto utilizzati per violare il diritto di autore oppure per espandere l’ultilizzo dei device protetti):
  • «La direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, deve essere interpretata nel senso che la nozione di «efficace misura tecnologica», ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, di tale direttiva, può comprendere misure tecnologiche dirette prevalentemente ad equipaggiare con un dispositivo di riconoscimento non solo il supporto che contiene l’opera protetta, come il videogioco, al fine di proteggerla da atti non autorizzati dal titolare di un diritto d’autore, ma altresì le apparecchiature portatili o le consolle destinate a garantire l’accesso a tali giochi e la loro utilizzazione.

    Spetta al giudice nazionale verificare se altre misure, o misure non installate sulle consolle, possano causare minori interferenze con le attività dei terzi o minori limitazioni di tali attività, pur fornendo una protezione analoga per i diritti del titolare. A tal fine, rileva prendere in considerazione, segnatamente, i costi relativi ai diversi tipi di misure tecnologiche, gli aspetti tecnici e pratici della loro attuazione nonché la comparazione dell’efficacia di tali diversi tipi di misure tecnologiche per quanto riguarda la protezione dei diritti del titolare, efficacia che, tuttavia, non deve essere assoluta. Spetta altresì al suddetto giudice esaminare la finalità dei dispositivi, dei prodotti o dei componenti che possono eludere le citate misure tecnologiche. A tal riguardo, la prova dell’uso che i terzi effettivamente ne fanno sarà, in funzione delle circostanze di cui trattasi, particolarmente rilevante. Il giudice nazionale può esaminare, segnatamente, con quale frequenza tali dispositivi, prodotti o componenti vengono effettivamente utilizzati in violazione del diritto d’autore nonché la frequenza con cui sono utilizzati a fini che non violano il suddetto diritto».

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Secondary Market for Ebooks? The ReDigi Case.

Una delle difficoltà nell’affrontare il tema della pirateria digitale sta nel fatto che si imposta il problema appunto partendo dalla pirateria digitale. Il che mi sembra un errore. L’altra faccia della medaglia, come per la luna, resta così nell’ombra.

Prima di parlare di pirateria, cioè di quello che non si può fare, occorrerebbe interrogarsi su quello che si può fare, cioè su quali siano gli usi e le facoltà legittime del possessore di un MP3 o di un ebook. Poiché le risposte a questa domanda sono complesse, si evita spesso di darle e si passa ad individuare quello che è vietato prima ancora di avere ben stabilito quello che è lecito.

Invertendo l’approccio al problema balza agli occhi una scomoda verità. Lo stato dei rapporti tra chi distribuisce online contenuti digitali (mi limito qui ad ebook e file musicali, come quelli in formato MP3) e chi li acquista è in condizioni di notevole incertezza (certezza del diritto). Quello che si compra scaricando un ebook o un MP3 non è chiaro. Anche per acquisti che potrebbero non superare il valore di un euro, la disciplina dei rapporti tra le parti è affidata a pagine e pagine di condizioni contrattuali contorte, di difficile interpretazione per un giurista, figurarsi per un essere umano.

Condizioni contrattuali che poi, a loro volta, andrebbero valutate alla luce del contesto normativo sui diritti di proprietà intellettuale, dei diritti del consumatore e, non ultimi, dei diritti fondamentali. Infatti, nessuna clausola delle condizioni di contratto predisposte dalla Apple, da Google, Amazon o altro gestore di piattaforme per la distribuzione di contenuti digitali potrebbe comunque porsi in contrasto con norme di legge imperative. S’aggiunga, per completare il quadro, che queste norme di legge possono variare, ed in effetti spesso variano, da paese a paese, e non è certo un mistero che internet non semplifica l’individuazione della legge applicabile alle transazioni che avvengono tramite essa (“internet” la vedo come sostantivo femminile).

Venendo alla ragione di questo mio post, uno dei temi più affascinanti e foriero di novità è quello della rivendita dei contenuti digitali da parte di chi li abbia legittimamente acquisiti. Il “capitale” da tutti noi investito in contenuti digitali di “valore permanente” va accumulandosi anno dopo anno e la questione del “riuso” diviene sempre più pressante. In questo discorso la pirateria non c’entra. C’è un legittimo acquirente (e già parlare di “acquirente” può essere un errore, ma non saprei al momento come evitarlo) e bisogna capire se tra i suoi diritti vi sia o meno quello di rivendere il file musicale o l’ ebook per il quale ha pagato un prezzo. Per come la vedo, sarebbe da individuare prima l’ambito delle sue “libertà”, e quindi, di conseguenza, il quadro dei “divieti” a cui va incontro.

Si dirà: basta leggere le condizioni d’acquisto. Risposta incompleta. Le condizioni spesso parlano di “licenze” e di “licenziatari”, ma menzionare più volte queste “paroline” in 10 e oltre pagine di contratto online non è sufficiente a dirci quale siano gli effetti giuridici di quel contratto. E tanto meno quali siano tutti i diritti del licenziatario, o il vero contenuto della licenza, secondo -non solo e non tanto- il contratto, ma secondo la legge applicabile (l’ordinamento giuridico), che ovviamente potrebbe non accontentarsi del “nomen iuris” (le “paroline”) attribuito alla transazione da chi (con quel “nome”) ha inteso disciplinare la stessa secondo i propri interessi.

Di alcuni di questi problemi iniziano ad occuparsi le Corti in giro per il mondo, mentre i legislatori latitano.

E’ il caso del Giudice R.J. Sullivan della Corte distrettuale di New York, ed è il caso del Tribunale tedesco di Bielefeld (Landegericht Bielefeld). Il primo ha deciso una causa tra la Capitol Records (EMI) e la ReDigi Inc., l’altro una causa tra la Federazione tedesca delle associazioni dei consumatori e una piattaforma di distribuzione di ebook. Di questa seconda, importante, decisione spero di riuscire a dare conto in un prossimo post.

Nel caso ReDigi la Corte statunitense ha accolto il ricorso per un “summary judgment” proposto dalla Capitol Records (CR), e diretto a far dichiarare illegale una parte dell’attività di ReDigi a causa della violazione dei diritti esclusivi di riproduzione e di distribuzione di file MP3, detenuti da CR.

ReDigi afferma di aver messo in piedi il primo (lecito) mercato secondario per i file musicali. File di “seconda mano”, da scambiare tra gli utenti del suo servizio. Tra non molto, afferma, avvierà il servizio anche in Europa, e lo estenderà agli ebook (si vedano, per gli ebook, gli ultimi secondi del video di presentazione del servizio).

Citata in giudizio dalla CR, ReDigi ha sostenuto che la prima versione del suo servizio (.01), cioè quella sotto esame da parte della Corte americana, non violava il copyright di CR. Un suo software analizza i file musicali presenti sul computer dell’utente e “idonei” ad accedere al servizio. Sono idonei (solo) quelli scaricati da Itunes o acquistati di seconda mano tramite ReDigi. Un altro software li “trasferisce”, byte dopo byte, in pacchetti, su di una piattaforma cloud (cioè un server sotto il controllo di ReDigi in Texas). “Trasferisce”, sottolinea ReDigi, non “copia”. Alla fine del “trasferimento”, sul computer dell’utente (e apparecchi collegati allo stesso) non c’è più il file, che si trova nella nuvola. Ciò non avverrebbe, sempre secondo ReDigi, con la creazione di una nuova copia ed il delete della vecchia copia presente sull’hard disk dell’utente, ma attraverso un vero e proprio “trasferimento” (degli atomi: la tecnologia è chiamata: Atomic Transaction) da un luogo all’altro. A quel punto, gli altri utenti collegati alla piattaforma possono comperare il file “usato”, trasferito sulla nuvola, ad un prezzo scontato e, sempre dalla nuvola, trasferirlo sul proprio hard disk. Al termine dell’operazione, il file resterebbe sempre uno, anche se ha cambiato titolare, quindi non ci sarebbe stata “riproduzione” del medesimo (ReDigi trattiene una commissione sugli scambi).

Al giudice americano la distinzione tra “trasferimento” e “copia” è sembrata di carattere puramente semantico. Quello che conta, ha detto, è il risultato finale: un file era fissato sull’hard disk A (dell’utente iniziale), poi risulta fissato sull’hard disk B (il server cloud) e poi ancora sull’hard disk C (del compratore dell’usato sicuro), e questo equivale ad una riproduzione (multipla). Il problema è che queste riproduzioni non sono autorizzate, quindi ReDigi ha violato il copyright di CR.

ReDigi ha provato ad invocare in suo favore anche l’esenzione per “fair use” (sorta di liberatoria per “uso personale”) e la “first sale doctrine” (secondo cui, in breve, dopo l’immissione in commercio – prima vendita – di un bene soggetto a copyright, il titolare può rivenderlo senza autorizzazione del titolare del copyright). Ma le sue argomentazioni non hanno avuto successo: “fair use” e “first sale doctrine” non trovano applicazione quando a monte c’è una “riproduzione” per fini commerciali, non autorizzata.

Le questioni sollevate dal caso sono assai interessanti e rilevanti. Vi risparmio tutto il percorso logico-giuridico, che si può agevolmente seguire leggendo la sentenza.

Nonostante la batosta, ReDigi (che ha proposto appello), non s’è scoraggiata. Nelle more del processo aveva già lanciato la versione 02. del proprio servizio. In questo nuovo modello, se ho capito, l’utente può comprare il file da Itunes mediante un’applicazione offerta da ReDigi. Il file viene sin dall’inizio scaricato da Itunes direttamente sulla nuvola di ReDigi, intestato all’account dell’utente stesso. Sull’hard disk dell’utente non arriva, oppure (e qui confesso di non avere capito bene) arriva solo dopo essere stato originariamente “fissato” sulla nuvola in nome e per conto dell’utente (oppure arriva solo in streaming: è questo che non ho ben capito). L’hard disk dell’utente diventa, tutt’al più, un secondo “device”, che la licenza dell’utente con Itunes consentirebbe di utilizzare. A quel punto il file può essere messo in vendita sul mercato secondario gestito da ReDigi, e le transazioni su tale mercato (server nuvola di ReDigi) avvengono senza trasferimenti del file: passa la titolarità della licenza, non il file. Chi compra l’MP3 “usato” lo mantiene sulla nuvola di ReDigi, dove sin dall’inizio è stato. Il venditore non ha più accesso allo streaming e il software di ReDigi controlla che nel suo hard disk non vi siano copie (sugli hard disk collegati, non su altri offline, ovviamente).

Non so se ReDigi .02 riuscirà a convincere i giudici di avere così superato i problemi giuridici di ReDigi .01. Forse, se raggiungerà un accordo con le major, non avrà bisogno di difendersi in giudizio.

Nel frattempo, ha annunciato di avere stabilito una joint-venture con Apple (e quindi con Itunes), di avere in corso accordi con alcuni autori (cioè gruppi musicali e cantanti che consentono la distribuzione delle loro opere tramite la sua piattaforma e ricevono una royalty per ognuno dei successivi “trasferimenti” di licenze) e… di avere intenzione di estendere il modello anche agli ebook.

Anche Amazon ed Apple brevettano tecnologie per realizzare “marketplaces for used digital objects“. E’ un mondo in rapido movimento. Stay Tuned!