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Intellectual Property

Istruzioni per l’uso: Copyright Notice: digital images, photographs and the internet

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Antitrust Intellectual Property

Copyright Collecting Society – Corte Giustizia UE – Il monopolio è confermato, ma vanno verificati gli abusi di posizione dominante

    •  “…Al riguardo occorre dichiarare che un ente di gestione quale l’OSA, che disponga di un monopolio ai fini della gestione, nel territorio di uno Stato membro, dei diritti d’autore relativi a una categoria di opere protette, detiene una posizione dominante su una parte sostanziale del mercato interno ai sensi dell’articolo 102 TFUE (v., in tal senso, sentenza dell’11 dicembre 2008, Kanal 5 e TV 4, C‑52/07, Racc. pag. I‑9275, punto 22).

      87      Orbene, se dovesse accadere che un tale ente di gestione imponga, per i servizi da esso prestati, tariffe sensibilmente più elevate di quelle praticate negli altri Stati membri e qualora il raffronto dei livelli delle tariffe sia stato effettuato su base omogenea, tale differenza dovrebbe essere considerata come l’indizio di un abuso di posizione dominante ai sensi dell’articolo 102 TFUE. In questo caso, spetterebbe all’ente di gestione di cui trattasi giustificare la differenza basandosi sulle diversità obiettive tra la situazione dello Stato membro interessato e quella prevalente in tutti gli altri Stati (v., in tal senso, precitate sentenze Tournier, punto 38, nonché Lucazeau e a., punto 25).

      88      Analogamente, un siffatto abuso potrebbe consistere nel praticare un prezzo eccessivo, privo di ogni ragionevole rapporto con il valore economico della prestazione fornita (sentenza Kanal 5 e TV 4, cit., punto 28).

      89      Inoltre, qualora un abuso siffatto dovesse sussistere e qualora fosse imputabile alla normativa applicabile a tale ente di gestione, la suddetta normativa sarebbe contraria agli articoli 102 TFUE e 106, paragrafo 1, TFUE, come si evince dalla giurisprudenza citata al punto 83 della presente sentenza…”.

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Case Law Intellectual Property Internet

Corte di Giustizia sul “linking” ad opere coperte dal diritto di autore già comunicate al pubblico di internet

La Corte di Giustizia UE “sdogana” l’anima vitale del web: è lecito creare su un sito web collegamenti (hyperlinks) che facciano accedere ad altri testi online, già accessibili su altri siti, anche se coperti dal diritto di autore (causa C‑466/12, Nils Svensson).

E sono consentiti – soluzione meno scontata della prima – anche il “framing” ed il “deep linking”, cioè i collegamenti ipertestuali che  diano al navigatore  l’impressione di avere a disposizione il testo in questione sul sito in cui già si trova, mentre in realtà proviene da un altro sito, e quelli che indirizzino ad una pagina web che non sia la “home page” del sito linkato.

Ecco un passaggio della decisione:

  • “Si deve pertanto dichiarare che, qualora il complesso degli utilizzatori di un altro sito, ai quali siano state comunicate le opere di cui trattasi tramite un collegamento cliccabile, potesse direttamente accedere a tali opere sul sito sul quale siano state inizialmente comunicate, senza intervento del gestore dell’altro sito, gli utilizzatori del sito gestito da quest’ultimo devono essere considerati come potenziali destinatari della comunicazione iniziale e, quindi, ricompresi nel pubblico previsto dai titolari del diritto d’autore al momento in cui hanno autorizzato la comunicazione iniziale.

    28      Di conseguenza, in mancanza di un pubblico nuovo, l’autorizzazione dei titolari del diritto d’autore non è necessaria per una comunicazione al pubblico come quella di cui al procedimento principale.

    29      Tale constatazione non potrebbe essere rimessa in discussione nel caso in cui il giudice del rinvio dovesse rilevare – cosa che non risulta chiaramente dagli atti – che, quando gli internauti cliccano sul collegamento in esame, l’opera appare dando l’impressione di essere a disposizione sul sito in cui si trova tale collegamento, mentre in realtà proviene da un altro sito”.

La Corte proibisce invece l’hyperlinking quando serva ad aggirare restrizioni originarie previste dall’autore.

Quello che non si può fare è dunque linkare a testi per i quali il titolare del diritto di autore abbia previsto restrizioni all’accesso generalizzato del pubblico. L’hyperlinking non può diventare strumento per eludere le limitazioni all’accesso stabilite dall’autore.

In definitiva, una decisione  liberale. Corretta anche sul tema del framing, rispetto al quale la tutela del sito linkato dovrebbe, a mio avviso, passare attraverso gli strumenti previsti a tutela del consumatore (ingannato dall’apparenza) e contro gli atti di concorrenza sleale, ma non attraverso quelli a tutela del diritto d’autore.

 

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Misure Tecnologiche di Protezione – Corte di Giustizia UE – Caso «Nintendo»

  • “«1. I titolari di diritti d’autore e di diritti connessi nonché del diritto di cui all’art. 102-bis, comma 3, [relativo alle banche dati] possono apporre sulle opere o sui materiali protetti misure tecnologiche di protezione efficaci che comprendono tutte le tecnologie, i dispositivi o i componenti che, nel normale corso del loro funzionamento, sono destinati a impedire o limitare atti non autorizzati dai titolari dei diritti. 2. Le misure tecnologiche di protezione sono considerate efficaci nel caso in cui l’uso dell’opera o del materiale protetto sia controllato dai titolari tramite l’applicazione di un dispositivo di accesso o di un procedimento di protezione, quale la cifratura, la distorsione o qualsiasi altra trasformazione dell’opera o del materiale protetto, ovvero sia limitato mediante un meccanismo di controllo delle copie che realizzi l’obiettivo di protezione.

  • 2.      Le misure tecnologiche di protezione sono considerate efficaci nel caso in cui l’uso dell’opera o del materiale protetto sia controllato dai titolari tramite l’applicazione di un dispositivo di accesso o di un procedimento di protezione, quale la cifratura, la distorsione o qualsiasi altra trasformazione dell’opera o del materiale protetto, ovvero sia limitato mediante un meccanismo di controllo delle copie che realizzi l’obiettivo di protezione».
  • Il caso di specie riguardava un «software» indipendente, che non costituiva una copia illegale dei videogiochi della Nintendo, ma che consentiva la fruizione sulle consolle di file MP3, film e video non prodotti né distribuiti dalla Nintendo, al fine di sfruttare pienamente tali consolle.
    La Corte, dopo avere fatto appello al principio di proporzionalità (in forza del quale la tutela giuridica garantita alla misure teconologica di protezione non deve impedire i dispositivi o le attività che hanno, sul piano commerciale, una finalità o un’utilizzazione diversa, dal facilitare la realizzazione di tali atti mediante l’elusione della protezione tecnologica)  conclude non escludendo la liceità di strumenti elusivi della protezione tecnologica, e chiedendo ai giudici nazionali di effettuare un non facile bilanciamento, anche basato su rilevazioni concrete circa l’uso che gli utenti fanno dei dispositivi elusivi in questione (se – in sostanza, pare di capire – sono nella pratica soprattutto utilizzati per violare il diritto di autore oppure per espandere l’ultilizzo dei device protetti):
  • «La direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, deve essere interpretata nel senso che la nozione di «efficace misura tecnologica», ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, di tale direttiva, può comprendere misure tecnologiche dirette prevalentemente ad equipaggiare con un dispositivo di riconoscimento non solo il supporto che contiene l’opera protetta, come il videogioco, al fine di proteggerla da atti non autorizzati dal titolare di un diritto d’autore, ma altresì le apparecchiature portatili o le consolle destinate a garantire l’accesso a tali giochi e la loro utilizzazione.

    Spetta al giudice nazionale verificare se altre misure, o misure non installate sulle consolle, possano causare minori interferenze con le attività dei terzi o minori limitazioni di tali attività, pur fornendo una protezione analoga per i diritti del titolare. A tal fine, rileva prendere in considerazione, segnatamente, i costi relativi ai diversi tipi di misure tecnologiche, gli aspetti tecnici e pratici della loro attuazione nonché la comparazione dell’efficacia di tali diversi tipi di misure tecnologiche per quanto riguarda la protezione dei diritti del titolare, efficacia che, tuttavia, non deve essere assoluta. Spetta altresì al suddetto giudice esaminare la finalità dei dispositivi, dei prodotti o dei componenti che possono eludere le citate misure tecnologiche. A tal riguardo, la prova dell’uso che i terzi effettivamente ne fanno sarà, in funzione delle circostanze di cui trattasi, particolarmente rilevante. Il giudice nazionale può esaminare, segnatamente, con quale frequenza tali dispositivi, prodotti o componenti vengono effettivamente utilizzati in violazione del diritto d’autore nonché la frequenza con cui sono utilizzati a fini che non violano il suddetto diritto».

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Business Models Intellectual Property

Spotify says it pays ‘significantly’ more to artists than competition, introduces analytics dashboard – TechSpot

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Case Law Intellectual Property

Google Books’ libraries scanning is “fair use”: “Words in books are being used in a way they have not been used before”.

Il 14 novembre sorso un Giudice federale del distretto di New York ha dato ragione a Google, titolare del programma noto come Google Books, contro la Authors Guild, cioè la più importante associazione americana a tutela degli interessi degli autori (già pubblicati).

Il programma di digitalizzazione delle opere nelle biblioteche americane portato avanti da Google,  con la conseguente possibilità di effettuare ricerche online con parole chiave nel contenuto dei libri digitalizzati, nonché  la possibilità di visualizzare “snippets” di testo (porzioni di testo che contengono le parole ricercate) sono stati  dichiarati leciti, grazie all’eccezione al diritto esclusivo di copyright  nota negli USA con il nome di “fair use” (concetto analogo alle “utilizzazioni libere” riconosciute anche dalla nostra legge sul diritto di autore – art. 70 –  per scopi di critica, di discussione, insegnamento, ricerca ecc.).

Qui si raggiunge il pdf. della decisione.

Qui sotto, due estratti dal testo della sentenza a mia cura, con i passaggi fondamentali della motivazione del Giudice Denny Chin (in due livelli, il primo -A- più sintetico, il secondo -B- più esteso).

La  Authors Guild ha annuciato l’appello.

Update: un commento su IPKat (Eleonora Rosati)

*  *  *

A) “books have been scanned by Google and are available for search on Google’s website, without plaintiffs’ permission…

Plaintiffs commenced this action on September 20, 2005, alleging, inter alia, that Google committed copyright infringement by scanning copyrighted books and making them available for search without permission of the copyright holders.

From the outset, Google’s principal defense was fair use under § 107 of the Copyright Act, 17 U.S.C. § 107.

The sole issue now before the Court is whether Google’s use of the copyrighted works is “fair use” under the copyright laws. For the reasons set forth below, I conclude that it is.

1)       Google’s use of the copyrighted works is highly transformative.Google Books digitizes books and transforms expressive text into a comprehensive word index that helps readers, scholars, researchers, and others find books… Google Books is also transformative in the sense that it has transformed book text into data for purposes of substantive research, including data mining and text mining in new areas, thereby opening up new fields of research. Words in books are being used in a way they have not been used before. Google Books has created something new in the use of book text — the frequency of words and trends in their usage provide substantive information.

2)       …the vast majority of the books in Google Books are non-fiction. Further, the books at issue are published and available to the public. These considerations favor a finding of fair use.

3)       …The third factor is “the amount and substantiality of the portion used in relation to the copyrighted work as a whole.” Google scans the full text of books… and it copies verbatim expression. On the other hand, courts have held that copying the entirety of a work may still be fair use.

4)       …The fourth factor is “the effect of the use upon the potential market for or value of the copyrighted work.” … plaintiffs argue that Google Books will negatively impact the market for books and that Google’s scans will serve as a “market replacement” for books… users could put in multiple searches, varying slightly the search terms, to access an entire book. Neither suggestion makes sense. Google does not sell its scans, and the scans do not replace the books… Nor is it likely that someone would take the time and energy to input countless searches to try and get enough snippets to comprise an entire book. Not only is that not possible as certain pages and snippets are blacklisted, the individual would have to have a copy of the book in his possession already to be able to piece the different snippets together in coherent fashion…To the contrary… Google Books enhances the sales of books to the benefit of copyright holders…. Google Books provides a way for authors’ works to become noticed, much like traditional in-store book displays. Further, Google provides convenient links to booksellers to make it easy for a reader to order a book. In this day and age of on-line shopping, there can be no doubt but that Google Books improves books sales… Hence, I conclude that the fourth factor weighs strongly in favor of a finding of fair use.

      …In my view, Google Books provides significant public benefits. It advances the progress of the arts and sciences, while maintaining respectful consideration for the rights of authors and other creative individuals, and without adversely impacting the rights of copyright holders. It has become an invaluable research tool that permits students, teachers, librarians, and others to more efficiently identify and locate books. It has given scholars the ability, for the first time, to conduct full-text searches of tens of millions of books. It preserves books, in particular out-of-print and old books that have been forgotten in the bowels of libraries, and it gives them new life. It facilitates access to books for print-disabled and remote or underserved populations. It generates new audiences and creates new sources of income for authors and publishers. Indeed, all society benefits.”.

*  *  *

B) “…In 2004, Google announced two digital books programs. The first, initially called “Google Print” and later renamed the “Partner Program,” involved the “hosting” and display of material provided by book publishers or other rights holders.

The second became known as the “Library Project,” and over time it involved the digital scanning of books in the collections of the New York Public Library, the Library of Congress, and a number of university libraries.

The Partner Program and the Library Project together comprise the Google Books program (“Google Books”).

[.]

As for the Library Project, Google has scanned more than twenty million books, in their entirety, using newly-developed scanning technology.

[.]

Pursuant to their agreement with Google, participating libraries can download a digital copy of each book scanned from their collections.

[.]

Some libraries agreed to allow Google to scan only public domain works, while others allowed Google to scan in-copyright works as well.

[.]

Google creates more than one copy of each book it scans from the library collections, and it maintains digital copies of each book on its servers and back-up tapes. Participating libraries have downloaded digital copies of in-copyright books scanned from their collections. They may not obtain a digital copy created from another library’s book. The libraries agree to abide by the copyright laws with respect to the copies they make.

[.]

Google analyzes each scan and creates an overall index of all scanned books. The index links each word or phrase appearing in each book with all of the locations in all of the books in which that word or phrase is found. The index allows a search for a particular word or phrase to return a result that includes the most relevant books in which the word or phrase is found. Because the full texts of books are digitized, a user can search the full text of all the books in the Google Books corpus.

[.]

Users of Google’s search engine may conduct searches, using queries of their own design. In response to inquiries, Google returns a list of books in which the search term appears.

[.]

A user can click on a particular result to be directed to an “About the Book” page, which will provide the user with information about the book in question. The page includes links to sellers of the books and/or libraries that list the book as part of their collections. No advertisements have ever appeared on any About the Book page that is part of the Library Project.

[.]

For books in “snippet view” (in contrast to “full view” books), Google divides each page into eighths — each of which is a “snippet,” a verbatim excerpt. Each search generates three snippets, but by performing multiple searches using different search terms, a single user may view far more than three snippets, as different searches can return different snippets. For example, by making a series of consecutive, slightly different searches of the book Ball Four, a single user can view many different snippets from the book.

[.]

Google takes security measures to prevent users from viewing a complete copy of a snippet-view book.

[.]

An “attacker” who tries to obtain an entire book by using a physical copy of the book to string together words appearing in successive passages would be able to obtain at best a patchwork of snippets that would be missing at least one snippet from every page and 10% of all pages.

[.]

The benefits of the Library Project are many.

First, Google Books provides a new and efficient way for readers and researchers to find books. It makes tens of millions of books searchable by words and phrases. It provides a searchable index linking each word in any book to all books in which that word appears.

Google Books has become an essential research tool, as it helps librarians identify and find research sources, it makes the process of interlibrary lending more efficient, and it facilitates finding and checking citations. Indeed, Google Books has become such an important tool for researchers and librarians that it has been integrated into the educational system — it is taught as part of the information literacy curriculum to students at all levels.

[.]

Second, in addition to being an important reference tool, Google Books greatly promotes a type of research referred to as “data mining” or “text mining.”. . Google Books permits humanities scholars to analyze massive amounts of data — the literary record created by a collection of tens of millions of books. Researchers can examine word frequencies, syntactic patterns, and thematic markers to consider how literary style has changed over time.

[.]

Third, Google Books expands access to books. In particular, traditionally underserved populations will benefit as they gain knowledge of and access to far more books. Google Books provides print-disabled individuals with the potential to search for books and read them in a format that is compatible with text enlargement software, text-to-speech screen access software, and Braille devices. Digitization facilitates the conversion of books to audio and tactile formats, increasing access for individuals with disabilities.

[.]

Fourth, Google Books helps to preserve books and give them new life. Older books, many of which are out-of-print books that are falling apart buried in library stacks, are being scanned and saved. These books will now be available, at least for search, and potential readers will be alerted to their existence.

[.]

Finally, by helping readers and researchers identify books, Google Books benefits authors and publishers. When a user clicks on a search result and is directed to an “About the Book” page, the page will offer links to sellers of the book and/or libraries listing the book as part of their collections. The About the Book page for Ball Four, for example, provides links to Amazon.com, Barnes&Noble.com, Books-A-Million, and IndieBound.

[.]

Plaintiffs commenced this action on September 20, 2005, alleging, inter alia, that Google committed copyright infringement by scanning copyrighted books and making them available for search without permission of the copyright holders.

From the outset, Google’s principal defense was fair use under § 107 of the Copyright Act, 17 U.S.C. § 107.

[.]

Google has digitally reproduced millions of copyrighted books, including the individual plaintiffs’ books, maintaining copies for itself on its servers and backup tapes. . Google has made digital copies available for its Library Project partners to download.

Google has displayed snippets from the books to the public.

Google has done all of this, with respect to in-copyright books in the Library Project, without license or permission from the copyright owners.

The sole issue now before the Court is whether Google’s use of the copyrighted works is “fair use” under the copyright laws. For the reasons set forth below, I conclude that it is.

[.]

The fair use doctrine is codified in § 107 of the Copyright Act, which provides in relevant part as follows:

[T]he fair use of a copyrighted work, for purposes such as criticism, comment, news reporting, teaching (including multiple copies for classroom use), scholarship, or research, is not an infringement of copyright.

In determining whether the use made of a work in any particular case is a fair use the factors to be considered shall include:

  • (1) the purpose and character of the use, including whether such use is of a commercial nature or is for nonprofit educational purposes;
  • (2) the nature of the copyrighted work;
  • (3) the amount and substantiality of the portion used in relation to the copyrighted work as a whole; and
  • (4)   the effect of the use upon the potential market for or value ofthe copyrighted work.

[.]

The first factor is “the purpose and character of the use, including whether such use is of a commercial nature or is for nonprofit educational purposes.” 17 U.S.C. § 107(1).

Google’s use of the copyrighted works is highly transformative. Google Books digitizes books and transforms expressive text into a comprehensive word index that helps readers, scholars, researchers, and others find books. Google Books has become an important tool for libraries and librarians and cite-checkers as it helps to identify and find books. The use of book text to facilitate search through the display of snippets is transformative.

[.]

Similarly, Google Books is also transformative in the sense that it has transformed book text into data for purposes of substantive research, including data mining and text mining in new areas, thereby opening up new fields of research. Words in books are being used in a way they have not been used before. Google Books has created something new in the use of book text — the frequency of words and trends in their usage provide substantive information.

[.]

It is true, of course, as plaintiffs argue, that Google is a for-profit entity and Google Books is largely a commercial enterprise.

[.]

Here, Google does not sell the scans it has made of books for Google Books; it does not sell the snippets that it displays; and it does not run ads on the About the Book pages that contain snippets. It does not engage in the direct commercialization of copyrighted works.

Google does, of course, benefit commercially in the sense that users are drawn to the Google websites by the ability to search Google Books. While this is a consideration to be acknowledged in weighing all the factors, even assuming Google’s principal motivation is profit, the fact is that Google Books serves several important educational purposes.

Accordingly, I conclude that the first factor strongly favors a finding of fair use.

[.]

The second factor is “the nature of the copyrighted work.”.

Here, the works are books – all types of published books, fiction and non-fiction, in-print and out-of-print. While works of fiction are entitled to greater copyright protection here the vast majority of the books in Google Books are non-fiction. Further, the books at issue are published and available to the public. These considerations favor a finding of fair use.

[.]

The third factor is “the amount and substantiality of the portion used in relation to the copyrighted work as a whole.”

Google scans the full text of books – the entire books — and it copies verbatim expression. On the other hand, courts have held that copying the entirety of a work may still be fair use.

Here, as one of the keys to Google Books is its offering of full-text search of books, full-work reproduction is critical to the functioning of Google Books. Significantly, Google limits the amount of text it displays in response to a search.

On balance, I conclude that the third factor weighs slightly against a finding of fair use.

[.]

The fourth factor is “the effect of the use upon the potential market for or value of the copyrighted work.”

Here, plaintiffs argue that Google Books will negatively impact the market for books and that Google’s scans will serve as a “market replacement” for books. . It also argues that users could put in multiple searches, varying slightly the search terms, to access an entire book.

Neither suggestion makes sense. Google does not sell its scans, and the scans do not replace the books. While partner libraries have the ability to download a scan of a book from their collections, they owned the books already — they provided the original book to Google to scan. Nor is it likely that someone would take the time and energy to input countless searches to try and get enough snippets to comprise an entire book. Not only is that not possible as certain pages and snippets are blacklisted, the individual would have to have a copy of the book in his possession already to be able to piece the different snippets together in coherent fashion.

To the contrary, a reasonable factfinder could only find that Google Books enhances the sales of books to the benefit of copyright holders. An important factor in the success of an individual title is whether it is discovered — whether potential readers learn of its existence.

Google Books provides a way for authors’ works to become noticed, much like traditional in-store book displays.  Indeed, both librarians and their patrons use Google Books to identify books to purchase. Many authors have noted that online browsing in general and Google Books in particular helps readers find their work, thus increasing their audiences.

Further, Google provides convenient links to booksellers to make it easy for a reader to order a book. In this day and age of on-line shopping, there can be no doubt but that Google Books improves books sales.

Hence, I conclude that the fourth factor weighs strongly in favor of a finding of fair use.

[.]

In my view, Google Books provides significant public benefits. It advances the progress of the arts and sciences, while maintaining respectful consideration for the rights of authors and other creative individuals, and without adversely impacting the rights of copyright holders. It has become an invaluable research tool that permits students, teachers, librarians, and others to more efficiently identify and locate books. It has given scholars the ability, for the first time, to conduct full-text searches of tens of millions of books. It preserves books, in particular out-of-print and old books that have been forgotten in the bowels of libraries, and it gives them new life. It facilitates access to books for print-disabled and remote or underserved populations. It generates new audiences and creates new sources of income for authors and publishers.

Indeed, all society benefits.

[.]”.

 

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DRM Intellectual Property

Too Big To Fail (dreams around the closing of a small web bookstore)

Il valore dei “beni digitali” che gli utenti possiedono (ritengono di possedere) si accumula di giorno in giorno.

Parcheggiato in nuvoleclouds… che come tutte le nuvole non si possono toccare, né si sa bene dove è che siano…

Cosa avviene se il gestore di un servizio “cloud” chiude, o peggio, fallisce, va in bancarotta, scappa con la cassa? Ehi, sono cose che succedono, o no?  Ma allora che fine fanno i “nostri” ebook? La “nostra” musica? I “nostri” file, insomma, i “nostri” dati?

Ecco perché anche la notizia della chiusura di un bookstore di nicchia fa riflettere.

E se invece fosse uno dei big a dover chiudere, con i milioni di miliardi di bytes che ospita e custodisce? Forse… non potrebbe essere lasciato fallire. Come per le grandi banche multinazionali, sarebbe considerato Too Big Too Fail.

Immagino allora un commissariamento… una liquidazione coatta amministrativa…  con utenti che da ogni angolo  della terra si mettono in fila, una fila lunghissima, per fare il download…

Salvo magari scoprire che… dopo il download non potranno comunque leggere quel libro, o ascoltare quella canzone, utilizzare quei file… perché sono protetti dai diabolici DRM, che però…. non saranno più gestiti dal titolare in fallimento… e quindi diverranno obsoleti, non funzioneranno più.. o non avranno più applicazioni decenti che li riconoscano… e allora?  Dovranno forse trasformarsi  tutti in “criminali”, tutti lì a craccare i DRM…? Immagino una legge ad hoc: Freedom of DRM Removal Act.

Oppure, altro scenario, nessun download. Fine del gestore, fine della tua “licenza”… nessun file è tuo, puoi al massimo chiedere i danni… Mettiti in fila, nomina un avvocato nel paese di residenza dei server… auguri… (hmm… non male, però, per gli avvocati… ora che ci penso…).

Cloud… un nome che mi sembra renda bene l’idea…

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Intellectual Property

I am Waiting for my Business Model

Si guarda alla musica online nella speranza di avere qualche indicazione sul futuro dei libri online, e quindi degli ebook.

Un libro ed un brano musicale sono cose diverse, certo, però… insomma, non devo spiegarlo, o meglio, forse non so spiegarlo, ma i due fenomeni hanno troppe cose in comune per non  attirare la curiosità di chi vende, o studia i problemi giuridici del come vendere, “contenuti digitali”.

Così, funziona e, se funziona, come funziona, il “business model” di un servizio come Spotify o Pandora (non accessibile dall’Italia)? Servizi di successo e relativamente recenti, non gemmati dalle grandi piattaforme di distribuzione dei soliti noti.

In questi giorni alcuni autori hanno protestato: da questo modello non si ricava niente! Ma ovviamente la realtà è più complessa. Michael Degusta dà un po’ di numeri qui.

A me resta il dubbio che se ne riesca mai a venire a capo, dato l’intreccio di interessi, leggi, organismi, novità tecnologiche che se ne trae. Se il legislatore un pò dovunque non riesce ad intervenire sulla materia è perché è davvero difficile sbrogliare una simile matassa.

Ma…  The Show Must Go On, e quindi gli affari si regolano da soli… grazie agli accordi tra privati e con l’effetto giungla (con leoni ed agnelli) tipico delle fasi di transizione come queste.

Temo però una “transizione permanente”: la tecnologia avanza più rapidamente della stessa capacità di gestirne gli effetti in termini di bilanciamento degli interessi secondo giustizia e pubblico interesse.

Il giurista, in fondo, amerebbe un po’ d’ordine. Ma credo debba rassegnarsi ad un ragionevole Caos.

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Case Law Contracts Intellectual Property Piracy Uncategorized

Secondary Market for Ebooks? The ReDigi Case.

Una delle difficoltà nell’affrontare il tema della pirateria digitale sta nel fatto che si imposta il problema appunto partendo dalla pirateria digitale. Il che mi sembra un errore. L’altra faccia della medaglia, come per la luna, resta così nell’ombra.

Prima di parlare di pirateria, cioè di quello che non si può fare, occorrerebbe interrogarsi su quello che si può fare, cioè su quali siano gli usi e le facoltà legittime del possessore di un MP3 o di un ebook. Poiché le risposte a questa domanda sono complesse, si evita spesso di darle e si passa ad individuare quello che è vietato prima ancora di avere ben stabilito quello che è lecito.

Invertendo l’approccio al problema balza agli occhi una scomoda verità. Lo stato dei rapporti tra chi distribuisce online contenuti digitali (mi limito qui ad ebook e file musicali, come quelli in formato MP3) e chi li acquista è in condizioni di notevole incertezza (certezza del diritto). Quello che si compra scaricando un ebook o un MP3 non è chiaro. Anche per acquisti che potrebbero non superare il valore di un euro, la disciplina dei rapporti tra le parti è affidata a pagine e pagine di condizioni contrattuali contorte, di difficile interpretazione per un giurista, figurarsi per un essere umano.

Condizioni contrattuali che poi, a loro volta, andrebbero valutate alla luce del contesto normativo sui diritti di proprietà intellettuale, dei diritti del consumatore e, non ultimi, dei diritti fondamentali. Infatti, nessuna clausola delle condizioni di contratto predisposte dalla Apple, da Google, Amazon o altro gestore di piattaforme per la distribuzione di contenuti digitali potrebbe comunque porsi in contrasto con norme di legge imperative. S’aggiunga, per completare il quadro, che queste norme di legge possono variare, ed in effetti spesso variano, da paese a paese, e non è certo un mistero che internet non semplifica l’individuazione della legge applicabile alle transazioni che avvengono tramite essa (“internet” la vedo come sostantivo femminile).

Venendo alla ragione di questo mio post, uno dei temi più affascinanti e foriero di novità è quello della rivendita dei contenuti digitali da parte di chi li abbia legittimamente acquisiti. Il “capitale” da tutti noi investito in contenuti digitali di “valore permanente” va accumulandosi anno dopo anno e la questione del “riuso” diviene sempre più pressante. In questo discorso la pirateria non c’entra. C’è un legittimo acquirente (e già parlare di “acquirente” può essere un errore, ma non saprei al momento come evitarlo) e bisogna capire se tra i suoi diritti vi sia o meno quello di rivendere il file musicale o l’ ebook per il quale ha pagato un prezzo. Per come la vedo, sarebbe da individuare prima l’ambito delle sue “libertà”, e quindi, di conseguenza, il quadro dei “divieti” a cui va incontro.

Si dirà: basta leggere le condizioni d’acquisto. Risposta incompleta. Le condizioni spesso parlano di “licenze” e di “licenziatari”, ma menzionare più volte queste “paroline” in 10 e oltre pagine di contratto online non è sufficiente a dirci quale siano gli effetti giuridici di quel contratto. E tanto meno quali siano tutti i diritti del licenziatario, o il vero contenuto della licenza, secondo -non solo e non tanto- il contratto, ma secondo la legge applicabile (l’ordinamento giuridico), che ovviamente potrebbe non accontentarsi del “nomen iuris” (le “paroline”) attribuito alla transazione da chi (con quel “nome”) ha inteso disciplinare la stessa secondo i propri interessi.

Di alcuni di questi problemi iniziano ad occuparsi le Corti in giro per il mondo, mentre i legislatori latitano.

E’ il caso del Giudice R.J. Sullivan della Corte distrettuale di New York, ed è il caso del Tribunale tedesco di Bielefeld (Landegericht Bielefeld). Il primo ha deciso una causa tra la Capitol Records (EMI) e la ReDigi Inc., l’altro una causa tra la Federazione tedesca delle associazioni dei consumatori e una piattaforma di distribuzione di ebook. Di questa seconda, importante, decisione spero di riuscire a dare conto in un prossimo post.

Nel caso ReDigi la Corte statunitense ha accolto il ricorso per un “summary judgment” proposto dalla Capitol Records (CR), e diretto a far dichiarare illegale una parte dell’attività di ReDigi a causa della violazione dei diritti esclusivi di riproduzione e di distribuzione di file MP3, detenuti da CR.

ReDigi afferma di aver messo in piedi il primo (lecito) mercato secondario per i file musicali. File di “seconda mano”, da scambiare tra gli utenti del suo servizio. Tra non molto, afferma, avvierà il servizio anche in Europa, e lo estenderà agli ebook (si vedano, per gli ebook, gli ultimi secondi del video di presentazione del servizio).

Citata in giudizio dalla CR, ReDigi ha sostenuto che la prima versione del suo servizio (.01), cioè quella sotto esame da parte della Corte americana, non violava il copyright di CR. Un suo software analizza i file musicali presenti sul computer dell’utente e “idonei” ad accedere al servizio. Sono idonei (solo) quelli scaricati da Itunes o acquistati di seconda mano tramite ReDigi. Un altro software li “trasferisce”, byte dopo byte, in pacchetti, su di una piattaforma cloud (cioè un server sotto il controllo di ReDigi in Texas). “Trasferisce”, sottolinea ReDigi, non “copia”. Alla fine del “trasferimento”, sul computer dell’utente (e apparecchi collegati allo stesso) non c’è più il file, che si trova nella nuvola. Ciò non avverrebbe, sempre secondo ReDigi, con la creazione di una nuova copia ed il delete della vecchia copia presente sull’hard disk dell’utente, ma attraverso un vero e proprio “trasferimento” (degli atomi: la tecnologia è chiamata: Atomic Transaction) da un luogo all’altro. A quel punto, gli altri utenti collegati alla piattaforma possono comperare il file “usato”, trasferito sulla nuvola, ad un prezzo scontato e, sempre dalla nuvola, trasferirlo sul proprio hard disk. Al termine dell’operazione, il file resterebbe sempre uno, anche se ha cambiato titolare, quindi non ci sarebbe stata “riproduzione” del medesimo (ReDigi trattiene una commissione sugli scambi).

Al giudice americano la distinzione tra “trasferimento” e “copia” è sembrata di carattere puramente semantico. Quello che conta, ha detto, è il risultato finale: un file era fissato sull’hard disk A (dell’utente iniziale), poi risulta fissato sull’hard disk B (il server cloud) e poi ancora sull’hard disk C (del compratore dell’usato sicuro), e questo equivale ad una riproduzione (multipla). Il problema è che queste riproduzioni non sono autorizzate, quindi ReDigi ha violato il copyright di CR.

ReDigi ha provato ad invocare in suo favore anche l’esenzione per “fair use” (sorta di liberatoria per “uso personale”) e la “first sale doctrine” (secondo cui, in breve, dopo l’immissione in commercio – prima vendita – di un bene soggetto a copyright, il titolare può rivenderlo senza autorizzazione del titolare del copyright). Ma le sue argomentazioni non hanno avuto successo: “fair use” e “first sale doctrine” non trovano applicazione quando a monte c’è una “riproduzione” per fini commerciali, non autorizzata.

Le questioni sollevate dal caso sono assai interessanti e rilevanti. Vi risparmio tutto il percorso logico-giuridico, che si può agevolmente seguire leggendo la sentenza.

Nonostante la batosta, ReDigi (che ha proposto appello), non s’è scoraggiata. Nelle more del processo aveva già lanciato la versione 02. del proprio servizio. In questo nuovo modello, se ho capito, l’utente può comprare il file da Itunes mediante un’applicazione offerta da ReDigi. Il file viene sin dall’inizio scaricato da Itunes direttamente sulla nuvola di ReDigi, intestato all’account dell’utente stesso. Sull’hard disk dell’utente non arriva, oppure (e qui confesso di non avere capito bene) arriva solo dopo essere stato originariamente “fissato” sulla nuvola in nome e per conto dell’utente (oppure arriva solo in streaming: è questo che non ho ben capito). L’hard disk dell’utente diventa, tutt’al più, un secondo “device”, che la licenza dell’utente con Itunes consentirebbe di utilizzare. A quel punto il file può essere messo in vendita sul mercato secondario gestito da ReDigi, e le transazioni su tale mercato (server nuvola di ReDigi) avvengono senza trasferimenti del file: passa la titolarità della licenza, non il file. Chi compra l’MP3 “usato” lo mantiene sulla nuvola di ReDigi, dove sin dall’inizio è stato. Il venditore non ha più accesso allo streaming e il software di ReDigi controlla che nel suo hard disk non vi siano copie (sugli hard disk collegati, non su altri offline, ovviamente).

Non so se ReDigi .02 riuscirà a convincere i giudici di avere così superato i problemi giuridici di ReDigi .01. Forse, se raggiungerà un accordo con le major, non avrà bisogno di difendersi in giudizio.

Nel frattempo, ha annunciato di avere stabilito una joint-venture con Apple (e quindi con Itunes), di avere in corso accordi con alcuni autori (cioè gruppi musicali e cantanti che consentono la distribuzione delle loro opere tramite la sua piattaforma e ricevono una royalty per ognuno dei successivi “trasferimenti” di licenze) e… di avere intenzione di estendere il modello anche agli ebook.

Anche Amazon ed Apple brevettano tecnologie per realizzare “marketplaces for used digital objects“. E’ un mondo in rapido movimento. Stay Tuned!

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Intellectual Property Piracy

Il Pirata degli Ebook è il Pirata più ragionevole

Uno studio svolto da Kantar Media e commissionato dall’OFCOM (l’AGCOM britannico) ha avuto un certo risalto perché conferma, tracciando il comportamento online ed offline di un campione significativo di persone dai 12 anni in su, che i pirati più crudeli sono anche i migliori acquirenti di contenuti digitali.

Coloro che consumano più file illegali, sono anche coloro che consumano il maggior numero di file legali e, più in generale, che spendono di più per acquistare contenuti online ed offline.

Insomma, come è stato ben detto ad esempio da Francesco Magnacavallo sul Fatto Quotidiano, “i pirati sono i migliori clienti”.

Lo studio dimostra anzi che i più pirati tra i pirati, sono anche i migliori clienti tra i clienti (i top 20% in termini di pirateria sono in assoluto i top buyer, anche tra chi non scarica illegalmente nulla).

L’analisi è dettagliata, e prosegue ad “ondate”, cioè continua a tracciare il campione di utenti nel tempo e ad intervalli regolari, specializzando le metriche e approfondendo le indagini e le correlazioni.

E’ anche interessante perché include gli ebook, oltre i tradizionali musica e film.

E per gli ebook emerge un dato notevole sul pirata “tipo”. Lo studio divide infatti i pirati in quattro categorie, a seconda delle diverse attitudini (dichiarate): Justifying Infringers, Digital Transgressors, Free Infringers e Ambiguos Infringers.

La categoria dei Justifying Infringers è quella con i maggiori scaricatori illegali di ebook rispetto alle altre.  Questo tipo di pirata si distingue per il fatto che accampa una serie di “buone ragioni” (per lui) per giustificare il proprio comportamento. Ritiene di spendere già a sufficienza per i contenuti che consuma (ed in effetti registra la maggiore quota di acquisti legali offline). E’ la categoria che maggiormente ama “testare” prima di comprare ed è la più sensibile a spostarsi sull’acquisto legale quando rappresenti una buona alternativa rispetto al consumo illegale. Insomma, si tratta di pirati ragionevoli, ottimi consumatori di contenuti legali e ben disposti a non scaricare illegalmente se l’acquisto legale fosse offerto ad un prezzo da loro reputato “corretto”.

Sembrano tutte buone notizie per gli editori di ebook. Con i Justifying Infringers si può “ragionare”, mentre con i Digital Transgressors e i Free Infringers c’è meno da sperare: i primi sono quelli che provano meno rimorsi a scaricare illegalmente, mentre i secondi dichiarano di essere pirati semplicemente perché non vogliono spendere nulla (ed in effetti risultano essere anche quelli che acquistano meno contenuti legali).

In generale, la maggior parte dei pirati afferma di essere disposta a convertirsi, ma a queste principali condizioni (nell’ordine):

a)        Se fosse loro offerto un servizio lecito, ma più economico

b)        Se tutto quello che cercano fosse disponibile per l’acquisto legale

c)        Se fosse possibile sottoscrivere un servizio in abbonamento per quello che cercano.