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Category: Contracts
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“The European Commission has opened a formal antitrust investigation into certain business practices by Amazon in the distribution of electronic books (“e-books”). The Commission will in particular investigate certain clauses included in Amazon’s contracts with publishers. These clauses require publishers to inform Amazon about more favourable or alternative terms offered to Amazon’s competitors and/or offer Amazon similarterms and conditions than to its competitors, or through other means ensure that Amazon is offered terms at least as good as those for its competitors.”
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La chiusura del Reader Store di Sony mi fa di nuovo pensare alla sorte dei beni digitali presenti sui server delle imprese che ce li hanno “venduti”. In realtà, grazie ad un semplice cambio di nome, non di prezzo, da “vendita” a “licenza”, questi beni li possiamo usare, ma non sono nostri. E non è nemmeno detto che siano a nostra disposizione per sempre. Sony è una grande società, ed ha gestito la chiusura dello store online in modo ordinato: i clienti – e le loro licenze – sono stati paracadutati sui server di Kobo. Resta il fatto che quote sempre crescenti (anche in valore) di beni digitali sono accumulate sui server delle grandi piattaforme di distribuzione elettronica o di gestori di servizi di storage. Quando questi chiudono, falliscono, o i server sono sequestrati, o altro, si pone con maggior chiarezza il problema del recupero dei beni da parte degli utenti, o comunque dei diritti di quest’ultimi ad avere il servizio su cui contavano, problema sinora piuttosto sottotaciuto.
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IPR License Launches Global Digital Marketplace for Book Rights | Digital Book World
“IPR License, the global digital marketplace for books rights, has opened up its platform to coincide with the launch of its fully bespoke transactional licensing solution – ‘TradeRights’. This new functionality is the first in the industry to allow parties to make offers and negotiate deals on whole book rights then complete the transaction in full, including contracts and payment.”
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Una delle difficoltà nell’affrontare il tema della pirateria digitale sta nel fatto che si imposta il problema appunto partendo dalla pirateria digitale. Il che mi sembra un errore. L’altra faccia della medaglia, come per la luna, resta così nell’ombra.
Prima di parlare di pirateria, cioè di quello che non si può fare, occorrerebbe interrogarsi su quello che si può fare, cioè su quali siano gli usi e le facoltà legittime del possessore di un MP3 o di un ebook. Poiché le risposte a questa domanda sono complesse, si evita spesso di darle e si passa ad individuare quello che è vietato prima ancora di avere ben stabilito quello che è lecito.
Invertendo l’approccio al problema balza agli occhi una scomoda verità. Lo stato dei rapporti tra chi distribuisce online contenuti digitali (mi limito qui ad ebook e file musicali, come quelli in formato MP3) e chi li acquista è in condizioni di notevole incertezza (certezza del diritto). Quello che si compra scaricando un ebook o un MP3 non è chiaro. Anche per acquisti che potrebbero non superare il valore di un euro, la disciplina dei rapporti tra le parti è affidata a pagine e pagine di condizioni contrattuali contorte, di difficile interpretazione per un giurista, figurarsi per un essere umano.
Condizioni contrattuali che poi, a loro volta, andrebbero valutate alla luce del contesto normativo sui diritti di proprietà intellettuale, dei diritti del consumatore e, non ultimi, dei diritti fondamentali. Infatti, nessuna clausola delle condizioni di contratto predisposte dalla Apple, da Google, Amazon o altro gestore di piattaforme per la distribuzione di contenuti digitali potrebbe comunque porsi in contrasto con norme di legge imperative. S’aggiunga, per completare il quadro, che queste norme di legge possono variare, ed in effetti spesso variano, da paese a paese, e non è certo un mistero che internet non semplifica l’individuazione della legge applicabile alle transazioni che avvengono tramite essa (“internet” la vedo come sostantivo femminile).
Venendo alla ragione di questo mio post, uno dei temi più affascinanti e foriero di novità è quello della rivendita dei contenuti digitali da parte di chi li abbia legittimamente acquisiti. Il “capitale” da tutti noi investito in contenuti digitali di “valore permanente” va accumulandosi anno dopo anno e la questione del “riuso” diviene sempre più pressante. In questo discorso la pirateria non c’entra. C’è un legittimo acquirente (e già parlare di “acquirente” può essere un errore, ma non saprei al momento come evitarlo) e bisogna capire se tra i suoi diritti vi sia o meno quello di rivendere il file musicale o l’ ebook per il quale ha pagato un prezzo. Per come la vedo, sarebbe da individuare prima l’ambito delle sue “libertà”, e quindi, di conseguenza, il quadro dei “divieti” a cui va incontro.
Si dirà: basta leggere le condizioni d’acquisto. Risposta incompleta. Le condizioni spesso parlano di “licenze” e di “licenziatari”, ma menzionare più volte queste “paroline” in 10 e oltre pagine di contratto online non è sufficiente a dirci quale siano gli effetti giuridici di quel contratto. E tanto meno quali siano tutti i diritti del licenziatario, o il vero contenuto della licenza, secondo -non solo e non tanto- il contratto, ma secondo la legge applicabile (l’ordinamento giuridico), che ovviamente potrebbe non accontentarsi del “nomen iuris” (le “paroline”) attribuito alla transazione da chi (con quel “nome”) ha inteso disciplinare la stessa secondo i propri interessi.
Di alcuni di questi problemi iniziano ad occuparsi le Corti in giro per il mondo, mentre i legislatori latitano.
E’ il caso del Giudice R.J. Sullivan della Corte distrettuale di New York, ed è il caso del Tribunale tedesco di Bielefeld (Landegericht Bielefeld). Il primo ha deciso una causa tra la Capitol Records (EMI) e la ReDigi Inc., l’altro una causa tra la Federazione tedesca delle associazioni dei consumatori e una piattaforma di distribuzione di ebook. Di questa seconda, importante, decisione spero di riuscire a dare conto in un prossimo post.
Nel caso ReDigi la Corte statunitense ha accolto il ricorso per un “summary judgment” proposto dalla Capitol Records (CR), e diretto a far dichiarare illegale una parte dell’attività di ReDigi a causa della violazione dei diritti esclusivi di riproduzione e di distribuzione di file MP3, detenuti da CR.
ReDigi afferma di aver messo in piedi il primo (lecito) mercato secondario per i file musicali. File di “seconda mano”, da scambiare tra gli utenti del suo servizio. Tra non molto, afferma, avvierà il servizio anche in Europa, e lo estenderà agli ebook (si vedano, per gli ebook, gli ultimi secondi del video di presentazione del servizio).
Citata in giudizio dalla CR, ReDigi ha sostenuto che la prima versione del suo servizio (.01), cioè quella sotto esame da parte della Corte americana, non violava il copyright di CR. Un suo software analizza i file musicali presenti sul computer dell’utente e “idonei” ad accedere al servizio. Sono idonei (solo) quelli scaricati da Itunes o acquistati di seconda mano tramite ReDigi. Un altro software li “trasferisce”, byte dopo byte, in pacchetti, su di una piattaforma cloud (cioè un server sotto il controllo di ReDigi in Texas). “Trasferisce”, sottolinea ReDigi, non “copia”. Alla fine del “trasferimento”, sul computer dell’utente (e apparecchi collegati allo stesso) non c’è più il file, che si trova nella nuvola. Ciò non avverrebbe, sempre secondo ReDigi, con la creazione di una nuova copia ed il delete della vecchia copia presente sull’hard disk dell’utente, ma attraverso un vero e proprio “trasferimento” (degli atomi: la tecnologia è chiamata: Atomic Transaction) da un luogo all’altro. A quel punto, gli altri utenti collegati alla piattaforma possono comperare il file “usato”, trasferito sulla nuvola, ad un prezzo scontato e, sempre dalla nuvola, trasferirlo sul proprio hard disk. Al termine dell’operazione, il file resterebbe sempre uno, anche se ha cambiato titolare, quindi non ci sarebbe stata “riproduzione” del medesimo (ReDigi trattiene una commissione sugli scambi).
Al giudice americano la distinzione tra “trasferimento” e “copia” è sembrata di carattere puramente semantico. Quello che conta, ha detto, è il risultato finale: un file era fissato sull’hard disk A (dell’utente iniziale), poi risulta fissato sull’hard disk B (il server cloud) e poi ancora sull’hard disk C (del compratore dell’usato sicuro), e questo equivale ad una riproduzione (multipla). Il problema è che queste riproduzioni non sono autorizzate, quindi ReDigi ha violato il copyright di CR.
ReDigi ha provato ad invocare in suo favore anche l’esenzione per “fair use” (sorta di liberatoria per “uso personale”) e la “first sale doctrine” (secondo cui, in breve, dopo l’immissione in commercio – prima vendita – di un bene soggetto a copyright, il titolare può rivenderlo senza autorizzazione del titolare del copyright). Ma le sue argomentazioni non hanno avuto successo: “fair use” e “first sale doctrine” non trovano applicazione quando a monte c’è una “riproduzione” per fini commerciali, non autorizzata.
Le questioni sollevate dal caso sono assai interessanti e rilevanti. Vi risparmio tutto il percorso logico-giuridico, che si può agevolmente seguire leggendo la sentenza.
Nonostante la batosta, ReDigi (che ha proposto appello), non s’è scoraggiata. Nelle more del processo aveva già lanciato la versione 02. del proprio servizio. In questo nuovo modello, se ho capito, l’utente può comprare il file da Itunes mediante un’applicazione offerta da ReDigi. Il file viene sin dall’inizio scaricato da Itunes direttamente sulla nuvola di ReDigi, intestato all’account dell’utente stesso. Sull’hard disk dell’utente non arriva, oppure (e qui confesso di non avere capito bene) arriva solo dopo essere stato originariamente “fissato” sulla nuvola in nome e per conto dell’utente (oppure arriva solo in streaming: è questo che non ho ben capito). L’hard disk dell’utente diventa, tutt’al più, un secondo “device”, che la licenza dell’utente con Itunes consentirebbe di utilizzare. A quel punto il file può essere messo in vendita sul mercato secondario gestito da ReDigi, e le transazioni su tale mercato (server nuvola di ReDigi) avvengono senza trasferimenti del file: passa la titolarità della licenza, non il file. Chi compra l’MP3 “usato” lo mantiene sulla nuvola di ReDigi, dove sin dall’inizio è stato. Il venditore non ha più accesso allo streaming e il software di ReDigi controlla che nel suo hard disk non vi siano copie (sugli hard disk collegati, non su altri offline, ovviamente).
Non so se ReDigi .02 riuscirà a convincere i giudici di avere così superato i problemi giuridici di ReDigi .01. Forse, se raggiungerà un accordo con le major, non avrà bisogno di difendersi in giudizio.
Nel frattempo, ha annunciato di avere stabilito una joint-venture con Apple (e quindi con Itunes), di avere in corso accordi con alcuni autori (cioè gruppi musicali e cantanti che consentono la distribuzione delle loro opere tramite la sua piattaforma e ricevono una royalty per ognuno dei successivi “trasferimenti” di licenze) e… di avere intenzione di estendere il modello anche agli ebook.
Anche Amazon ed Apple brevettano tecnologie per realizzare “marketplaces for used digital objects“. E’ un mondo in rapido movimento. Stay Tuned!
Il diritto dell’Unione Europea chiede che le normative degli stati membri non ostacolino, anzi rendano effettiva, la possibilità di stipulare contratti online.
Tuttavia, chiunque si trovi a predisporre un sito di e-commerce conosce i dubbi e le incertezze cui si va incontro quando si cerca di stabilire ciò che si può validamente pattuire con i propri clienti, quando queste pattuizioni saranno effettive, come provarne l’esistenza, ecc.
Per tacere degli obblighi relativi alla informativa sulla privacy e gli oneri cui si va incontro per predisporre in modo adeguato la protezione dei dati personali dei clienti che inevitabilmente si devono raccogliere e trattare.
Del tema delle clausole vessatorie si occupa lo scritto di Tiziana Ventrella che qui segnalo, dal sito del Ceradi della Luiss-Guido Carli. Offre una soluzione ragionevole, per l’interpretazione del complesso di norme applicabili alla materia e riporta per esteso la giurisprudenza delle corti di merito sul tema.
Nei contratti on-line è lo stesso concetto di vessatorietà che andrebbe rivisitato. Ad esempio, la facoltà unilaterale (per il predisponente delle condizioni) di sospendere l’esecuzione del contratto è considerata dall’art. 1341 c.c. vessatoria, e quindi soggetta ad una disciplina di particolare rigore (specifica approvazione per iscritto). La norma è nata ben prima dell’internet e non considera la nuova realtà della prestazione di beni e servizi in rete. Sospendere un account, una prestazione, è una facoltà che chi offre servizi in rete ha necessità di garantirsi, con larga discrezionalità. Ha di fronte utenti del tutto sconosciuti, molti, la maggior parte, in buona fede, altri, pochi per fortuna, assai meno. Può anche avere di fronte un “bot”, un programma che simula il comportamento di un contraente umano. Rispetto ad attività che si sospetta possano essere anomale, o maliziose, la possibilità di sospendere in via preventiva e precauzionale un account o la prestazione di un servizio è fondamentale, e spesso serve a garantire la stessa funzionalità del sito web, e indirettamente la corretta prestazione dei beni e dei servizi in favore degli altri utenti. Insomma, la posizione di “contraente forte” del predisponente rispetto all’utente “parte debole” e meno consapevole, sarebbe da riconsiderare con attenzione, per trovare equilibri più confacenti alla mutata realtà dei rapporti on-line.
Ci sarebbero tante cose importanti, semplici, da fare per un legislatore attento. Migliorerebbero la certezza del diritto e la “vita economica” di tante imprese. Spesso piccole, o individuali, desiderose soltanto di vendere, di stare sul mercato senza troppi mal di testa, avvocati, incertezze, e senza voler “vessare” proprio nessuno…