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Antitrust

Net Neutrality. De-peering Italiano

Come segnalato qui da Alessandro Longo di Nova24 (Sole24Ore) Telecom Italia ha annunciato agli internet provider minori il recesso dai rapporti di peering gratuito, cioè dagli accordi di interconnessione fisica con le loro reti “alla pari” (nel senso che nessuno paga l’altro per il traffico scambiato).

Le preoccupazioni degli operatori minori sono descritte in queste slides da Renato Brunetti, presidente dell’Associazione Italiana degli Internet Provider. Il problema – ovviamente – è che  Telecom resta dominante nel mercato per l’accesso all’ingrosso alla rete internet a banda larga (anche se nel mercato delle connessioni peering internazionali non è dominante). E’ dunque un processo che potrà tradursi in un aumento dei costi per gli utenti, a valle, utenti sui quali verranno in definitiva scaricati i maggiori costi.  Renderà comunque più  difficile la vita agli operatori minori e quindi in prospettiva ridurrà l’offerta di accesso alla connessione indipendente.

La Net Neutrality, che riguarda soprattutto la discriminazione sui contenuti che circolano, è a sua volta messa in discussione. Il peering gratuito rappresenta la piattaforma di scambio neutrale per eccellenza, e l’avvio di politiche di interconnessione differenziate in funzione di “volumi, utenza, traffico e ridondanza” (così si legge nella lettera di recesso di Telecom) potrebbe essere un primo passo verso forme più intense e creative di discriminazione.

Chiunque abbia interesse alla distribuzione via internet di contenuti digitali non può essere contento di simili evoluzioni, salvo, ovviamente, che non sia un operatore di telecomunicazioni dominante e possa così intravedere un’altra occasione per trarre vantaggio dal suo potere di mercato.

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Intellectual Property

I am Waiting for my Business Model

Si guarda alla musica online nella speranza di avere qualche indicazione sul futuro dei libri online, e quindi degli ebook.

Un libro ed un brano musicale sono cose diverse, certo, però… insomma, non devo spiegarlo, o meglio, forse non so spiegarlo, ma i due fenomeni hanno troppe cose in comune per non  attirare la curiosità di chi vende, o studia i problemi giuridici del come vendere, “contenuti digitali”.

Così, funziona e, se funziona, come funziona, il “business model” di un servizio come Spotify o Pandora (non accessibile dall’Italia)? Servizi di successo e relativamente recenti, non gemmati dalle grandi piattaforme di distribuzione dei soliti noti.

In questi giorni alcuni autori hanno protestato: da questo modello non si ricava niente! Ma ovviamente la realtà è più complessa. Michael Degusta dà un po’ di numeri qui.

A me resta il dubbio che se ne riesca mai a venire a capo, dato l’intreccio di interessi, leggi, organismi, novità tecnologiche che se ne trae. Se il legislatore un pò dovunque non riesce ad intervenire sulla materia è perché è davvero difficile sbrogliare una simile matassa.

Ma…  The Show Must Go On, e quindi gli affari si regolano da soli… grazie agli accordi tra privati e con l’effetto giungla (con leoni ed agnelli) tipico delle fasi di transizione come queste.

Temo però una “transizione permanente”: la tecnologia avanza più rapidamente della stessa capacità di gestirne gli effetti in termini di bilanciamento degli interessi secondo giustizia e pubblico interesse.

Il giurista, in fondo, amerebbe un po’ d’ordine. Ma credo debba rassegnarsi ad un ragionevole Caos.

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Antitrust

EU Antitrust: Commission’s inspections in Internet connectivity services

Tra le righe del comunicato stampa della Commissione sembra potersi leggere che la UE stia verificando possibili abusi riguardanti la fornitura di connettività, ma dal lato dei “content providers”.

Che sia in gioco la net neutrality?

Internet players interconnect with each other through a combination of wholesale services to cover all possible Internet destinations. Internet connectivity allows market players (e.g. content providers) to connect to the Internet so as to be able to provide their services or products at the retail level. This service is crucial for the functioning of the Internet and for end users’ ability to reach Internet content with the necessary quality of service, irrespective of the location of the provider.

 

 

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Case Law Contracts Intellectual Property Piracy Uncategorized

Secondary Market for Ebooks? The ReDigi Case.

Una delle difficoltà nell’affrontare il tema della pirateria digitale sta nel fatto che si imposta il problema appunto partendo dalla pirateria digitale. Il che mi sembra un errore. L’altra faccia della medaglia, come per la luna, resta così nell’ombra.

Prima di parlare di pirateria, cioè di quello che non si può fare, occorrerebbe interrogarsi su quello che si può fare, cioè su quali siano gli usi e le facoltà legittime del possessore di un MP3 o di un ebook. Poiché le risposte a questa domanda sono complesse, si evita spesso di darle e si passa ad individuare quello che è vietato prima ancora di avere ben stabilito quello che è lecito.

Invertendo l’approccio al problema balza agli occhi una scomoda verità. Lo stato dei rapporti tra chi distribuisce online contenuti digitali (mi limito qui ad ebook e file musicali, come quelli in formato MP3) e chi li acquista è in condizioni di notevole incertezza (certezza del diritto). Quello che si compra scaricando un ebook o un MP3 non è chiaro. Anche per acquisti che potrebbero non superare il valore di un euro, la disciplina dei rapporti tra le parti è affidata a pagine e pagine di condizioni contrattuali contorte, di difficile interpretazione per un giurista, figurarsi per un essere umano.

Condizioni contrattuali che poi, a loro volta, andrebbero valutate alla luce del contesto normativo sui diritti di proprietà intellettuale, dei diritti del consumatore e, non ultimi, dei diritti fondamentali. Infatti, nessuna clausola delle condizioni di contratto predisposte dalla Apple, da Google, Amazon o altro gestore di piattaforme per la distribuzione di contenuti digitali potrebbe comunque porsi in contrasto con norme di legge imperative. S’aggiunga, per completare il quadro, che queste norme di legge possono variare, ed in effetti spesso variano, da paese a paese, e non è certo un mistero che internet non semplifica l’individuazione della legge applicabile alle transazioni che avvengono tramite essa (“internet” la vedo come sostantivo femminile).

Venendo alla ragione di questo mio post, uno dei temi più affascinanti e foriero di novità è quello della rivendita dei contenuti digitali da parte di chi li abbia legittimamente acquisiti. Il “capitale” da tutti noi investito in contenuti digitali di “valore permanente” va accumulandosi anno dopo anno e la questione del “riuso” diviene sempre più pressante. In questo discorso la pirateria non c’entra. C’è un legittimo acquirente (e già parlare di “acquirente” può essere un errore, ma non saprei al momento come evitarlo) e bisogna capire se tra i suoi diritti vi sia o meno quello di rivendere il file musicale o l’ ebook per il quale ha pagato un prezzo. Per come la vedo, sarebbe da individuare prima l’ambito delle sue “libertà”, e quindi, di conseguenza, il quadro dei “divieti” a cui va incontro.

Si dirà: basta leggere le condizioni d’acquisto. Risposta incompleta. Le condizioni spesso parlano di “licenze” e di “licenziatari”, ma menzionare più volte queste “paroline” in 10 e oltre pagine di contratto online non è sufficiente a dirci quale siano gli effetti giuridici di quel contratto. E tanto meno quali siano tutti i diritti del licenziatario, o il vero contenuto della licenza, secondo -non solo e non tanto- il contratto, ma secondo la legge applicabile (l’ordinamento giuridico), che ovviamente potrebbe non accontentarsi del “nomen iuris” (le “paroline”) attribuito alla transazione da chi (con quel “nome”) ha inteso disciplinare la stessa secondo i propri interessi.

Di alcuni di questi problemi iniziano ad occuparsi le Corti in giro per il mondo, mentre i legislatori latitano.

E’ il caso del Giudice R.J. Sullivan della Corte distrettuale di New York, ed è il caso del Tribunale tedesco di Bielefeld (Landegericht Bielefeld). Il primo ha deciso una causa tra la Capitol Records (EMI) e la ReDigi Inc., l’altro una causa tra la Federazione tedesca delle associazioni dei consumatori e una piattaforma di distribuzione di ebook. Di questa seconda, importante, decisione spero di riuscire a dare conto in un prossimo post.

Nel caso ReDigi la Corte statunitense ha accolto il ricorso per un “summary judgment” proposto dalla Capitol Records (CR), e diretto a far dichiarare illegale una parte dell’attività di ReDigi a causa della violazione dei diritti esclusivi di riproduzione e di distribuzione di file MP3, detenuti da CR.

ReDigi afferma di aver messo in piedi il primo (lecito) mercato secondario per i file musicali. File di “seconda mano”, da scambiare tra gli utenti del suo servizio. Tra non molto, afferma, avvierà il servizio anche in Europa, e lo estenderà agli ebook (si vedano, per gli ebook, gli ultimi secondi del video di presentazione del servizio).

Citata in giudizio dalla CR, ReDigi ha sostenuto che la prima versione del suo servizio (.01), cioè quella sotto esame da parte della Corte americana, non violava il copyright di CR. Un suo software analizza i file musicali presenti sul computer dell’utente e “idonei” ad accedere al servizio. Sono idonei (solo) quelli scaricati da Itunes o acquistati di seconda mano tramite ReDigi. Un altro software li “trasferisce”, byte dopo byte, in pacchetti, su di una piattaforma cloud (cioè un server sotto il controllo di ReDigi in Texas). “Trasferisce”, sottolinea ReDigi, non “copia”. Alla fine del “trasferimento”, sul computer dell’utente (e apparecchi collegati allo stesso) non c’è più il file, che si trova nella nuvola. Ciò non avverrebbe, sempre secondo ReDigi, con la creazione di una nuova copia ed il delete della vecchia copia presente sull’hard disk dell’utente, ma attraverso un vero e proprio “trasferimento” (degli atomi: la tecnologia è chiamata: Atomic Transaction) da un luogo all’altro. A quel punto, gli altri utenti collegati alla piattaforma possono comperare il file “usato”, trasferito sulla nuvola, ad un prezzo scontato e, sempre dalla nuvola, trasferirlo sul proprio hard disk. Al termine dell’operazione, il file resterebbe sempre uno, anche se ha cambiato titolare, quindi non ci sarebbe stata “riproduzione” del medesimo (ReDigi trattiene una commissione sugli scambi).

Al giudice americano la distinzione tra “trasferimento” e “copia” è sembrata di carattere puramente semantico. Quello che conta, ha detto, è il risultato finale: un file era fissato sull’hard disk A (dell’utente iniziale), poi risulta fissato sull’hard disk B (il server cloud) e poi ancora sull’hard disk C (del compratore dell’usato sicuro), e questo equivale ad una riproduzione (multipla). Il problema è che queste riproduzioni non sono autorizzate, quindi ReDigi ha violato il copyright di CR.

ReDigi ha provato ad invocare in suo favore anche l’esenzione per “fair use” (sorta di liberatoria per “uso personale”) e la “first sale doctrine” (secondo cui, in breve, dopo l’immissione in commercio – prima vendita – di un bene soggetto a copyright, il titolare può rivenderlo senza autorizzazione del titolare del copyright). Ma le sue argomentazioni non hanno avuto successo: “fair use” e “first sale doctrine” non trovano applicazione quando a monte c’è una “riproduzione” per fini commerciali, non autorizzata.

Le questioni sollevate dal caso sono assai interessanti e rilevanti. Vi risparmio tutto il percorso logico-giuridico, che si può agevolmente seguire leggendo la sentenza.

Nonostante la batosta, ReDigi (che ha proposto appello), non s’è scoraggiata. Nelle more del processo aveva già lanciato la versione 02. del proprio servizio. In questo nuovo modello, se ho capito, l’utente può comprare il file da Itunes mediante un’applicazione offerta da ReDigi. Il file viene sin dall’inizio scaricato da Itunes direttamente sulla nuvola di ReDigi, intestato all’account dell’utente stesso. Sull’hard disk dell’utente non arriva, oppure (e qui confesso di non avere capito bene) arriva solo dopo essere stato originariamente “fissato” sulla nuvola in nome e per conto dell’utente (oppure arriva solo in streaming: è questo che non ho ben capito). L’hard disk dell’utente diventa, tutt’al più, un secondo “device”, che la licenza dell’utente con Itunes consentirebbe di utilizzare. A quel punto il file può essere messo in vendita sul mercato secondario gestito da ReDigi, e le transazioni su tale mercato (server nuvola di ReDigi) avvengono senza trasferimenti del file: passa la titolarità della licenza, non il file. Chi compra l’MP3 “usato” lo mantiene sulla nuvola di ReDigi, dove sin dall’inizio è stato. Il venditore non ha più accesso allo streaming e il software di ReDigi controlla che nel suo hard disk non vi siano copie (sugli hard disk collegati, non su altri offline, ovviamente).

Non so se ReDigi .02 riuscirà a convincere i giudici di avere così superato i problemi giuridici di ReDigi .01. Forse, se raggiungerà un accordo con le major, non avrà bisogno di difendersi in giudizio.

Nel frattempo, ha annunciato di avere stabilito una joint-venture con Apple (e quindi con Itunes), di avere in corso accordi con alcuni autori (cioè gruppi musicali e cantanti che consentono la distribuzione delle loro opere tramite la sua piattaforma e ricevono una royalty per ognuno dei successivi “trasferimenti” di licenze) e… di avere intenzione di estendere il modello anche agli ebook.

Anche Amazon ed Apple brevettano tecnologie per realizzare “marketplaces for used digital objects“. E’ un mondo in rapido movimento. Stay Tuned!

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Extra

Big Tent Roma 2013 (extra)

Sono stato a Big Tent Roma 2013, evento organizzato da Google sui contenuti digitali e la cultura.

Tra le cose che mi hanno colpito (oltre a poter ascoltare Vint Cerf  “dal vivo”) c’è stato l’intervento del dott. Marco Polillo, presidente di Confindustria Cultura nonché presidente dell’AIE. ll ministro Bray aveva appena finito di accennare – pacatamente –  alla sfida posta dalla rete (e quindi da Wikipedia) alle enciclopedie “classiche” (e storiche, come la Treccani), quando il dott. Polillo è intervenuto per spiegare alla platea che Wikipedia non è come la Treccani perché è piena di errori. Ed ha portato un esempio personale, illuminante e illuminato: la pagina di Wikipedia che riguarda la  sua casa editrice (di cui, me ne scuso, mi è sfuggito il nome) è tutta sbagliata, ma lui a bella posta non la fa correggere, quale solenne monito e riprova di come Wikipedia non sia attendibile. Ha aggiunto che il self-publishing non ha futuro, perché – in buona sostanza – è il rifugio degli analfabeti con la voglia di autopubblicarsi.

Ma è l’ostilità verso Wikipedia che mi ha colpito di più. La Treccani non credo parlerà mai della casa editrice del presidente dell’AIE, Wikipedia invece lo fa (e qui sta una delle differenze fondamentali tra Wikipedia e le enciclopedie classiche) ma il dott. Polillo non ringrazia, anzi… li lascia sbagliare… così imparano. Auguri!

Cambiando argomento, non sapevo invece che Civiltà Cattolica fosse la rivista italiana più antica tra quelle ancora attive (1850, pre-unitaria). E’ oggi diretta da padre Antonio Spadaro S.J, ed ha una versione digitale per tablet. Padre Spadaro m’è sembrato tra gli ospiti più avveduti dell’evoluzione verso il digitale della carta stampata e della cultura in generale.

Per finire,  Vinton Cerf.  Ha ricordato Darwin. Ci sono – ha detto –  solo due possibilità (“options”): adattarsi al nuovo ambiente, o estinguersi.

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Contracts

Contratti On-Line, Point and Click e Clausole Vessatorie

Il diritto dell’Unione Europea chiede che le normative degli stati membri non ostacolino, anzi rendano effettiva, la possibilità di stipulare contratti online.

Tuttavia, chiunque si trovi a predisporre un sito di e-commerce conosce i dubbi e le incertezze cui si va incontro quando si cerca di stabilire ciò che si può validamente pattuire con i propri clienti, quando queste pattuizioni saranno effettive, come provarne l’esistenza, ecc.

Per tacere degli obblighi relativi alla informativa sulla privacy e gli oneri cui si va incontro per predisporre in modo adeguato la protezione dei dati personali dei clienti che inevitabilmente si devono raccogliere e trattare.

Del tema delle clausole vessatorie si occupa lo scritto di Tiziana Ventrella che qui segnalo, dal sito del Ceradi della Luiss-Guido Carli. Offre una soluzione ragionevole, per l’interpretazione del complesso di norme applicabili alla materia e riporta per esteso la giurisprudenza delle corti di merito sul tema.

Nei contratti on-line è lo stesso concetto di vessatorietà che andrebbe rivisitato. Ad esempio, la facoltà unilaterale (per il predisponente delle condizioni) di sospendere l’esecuzione del contratto è considerata dall’art. 1341 c.c. vessatoria, e quindi soggetta ad una disciplina di particolare rigore (specifica approvazione per iscritto). La norma è nata ben prima dell’internet e non considera la nuova realtà della prestazione di beni e servizi in rete. Sospendere un account, una prestazione, è una facoltà che chi offre servizi in rete ha necessità di garantirsi, con larga discrezionalità. Ha di fronte utenti del tutto sconosciuti, molti, la maggior parte, in buona fede, altri, pochi per fortuna, assai meno. Può anche avere di fronte un “bot”, un programma che simula il comportamento di un contraente umano. Rispetto ad attività che si sospetta possano essere anomale, o maliziose, la possibilità di sospendere in via preventiva e precauzionale un account o la prestazione di un servizio è fondamentale, e spesso serve a garantire la stessa funzionalità del sito web, e indirettamente la corretta prestazione dei beni e dei servizi in favore degli altri utenti. Insomma, la posizione di “contraente forte” del predisponente rispetto all’utente “parte debole” e meno consapevole, sarebbe da riconsiderare con attenzione, per trovare equilibri più confacenti alla mutata realtà dei rapporti on-line.

Ci sarebbero tante cose importanti, semplici, da fare per un legislatore attento. Migliorerebbero la certezza del diritto e la “vita economica” di tante imprese. Spesso piccole, o individuali, desiderose soltanto di vendere, di stare sul mercato senza troppi mal di testa, avvocati, incertezze, e senza voler “vessare” proprio nessuno…